museo-on

Direkt springen zu:
Sprache: Deutsch | Englisch
Banner_China a
Hauptnavigation:

Relazione sugli Scavi in AK9 2003 - 2006

Il Centro Studi Ricerche Ligabue ha deciso di editare nel quinquennio 2006-­2010 due contributi alla conoscenza archeologica dell'Oasi di Adji Kui dedicando il primo alla cittadella fortificata di AK9 (acronimo per Adji Kui n. 9) e il secondo al complesso di AKI (acronimo per Adji Kui n. 1) costituito da un vasto abitato con una acropoli fortificata e dalla relativa necropoli, attualmente in corso di scavo.
L'accampamento di Adji Kui nel settembre 2001.
L'accampamento di Adji Kui nel settembre 2001.

Il presente lavoro, riservato alla cittadella di AK9 ribattezzata dai media col nome di "Cittadella delle Statuette", si articola su due volumi: uno indirizzato all'analisi generale degli scavi e dei principali reperti individuati e uno, in corso di preparazione, provvisto dei necessari apparati di approfondimento e di confronto (analisi di laboratorio, cataloghi degli oggetti, referti antropologici, ecc.).

Per ora eviteremo accuratamente di avanzare nuove ipotesi e nuove teorie sia sul complesso di Adji Kui sia sulla preistoria della Margiana dal momento che si tratta di un settore di per sé già abbastanza affollato. Dal 1949 (inizio delle prime ricerche archeologiche in Turkmenistan) ad oggi è stato un susseguirsi di teorie e di modelli elaborati a tavolino che finora non hanno ottenuto riscontri esaustivi lasciando aperte interminabili discussioni. Nemmeno l'apporto dei sistemi informatici ha fornito soluzioni convincenti, anche perché la disponibilità di questi nuovi strumenti induce a realizzare progetti grandiosi, dimenticando che, alla base, esiste sempre una serie di dati raccolti dall'uomo e, per questo, soggetti ad errore: sviste, interpretazioni soggettive, stanchezza sono sempre in agguato ed è facile che un modello "perfetto", alla fine, si dimostri scollegato dalla realtà. Per venire a capo di questa situazione e fornire agli specialisti documenti utilizzabili per l'elaborazione di ipotesi accettabili non esiste che una possibilità, la stessa di sempre: scavare e documentare il più possibile, fornendo dati certi e verificabili.

Da 15 anni la nostra missione opera in Turkmenistan e dal settembre 2003 ha intrapreso lo scavo della cittadella di AK9. Tradotto in cifre significa che la nostra

missione è stata impegnata sul terreno di scavo per 12 mesi complessivi con circa 30 persone, tra tecnici e operai, che hanno dedicato a questa impresa ben 75.000 ore lavorative vivendo fianco a fianco in un accampamento che, per quanto confortevole e organizzato, è pur sempre ai limiti del precario: tempeste di sabbia, escursioni termiche snervanti con improvvisi passaggi dal caldo torrido a temperature sotto zero e continui problemi di acqua potabile e di alimentazione equilibrata. Con l'aggiunta di fastidiosi e onnipresenti vicini che movimentano il già complicato soggiorno: lupi, iene, sciacalli, cobra, scorpioni. Perfino una famiglia di linci persiane (Caracal caracal michaelis Heptner), una specie in via di estinzione, che aveva deciso di stabilirsi tra le rovine di AK9. È risaputo che in queste condizioni border line non si possono condurre scavi da "manuale"; l'imperativo è armonizzare le esigenze scientifiche con la realtà oggettiva e con i mezzi, tecnici ed umani, a disposizione. E non è poco.

Lo sforzo maggiore che abbiamo dovuto affrontare è stato rieducare ad un corretto scavo archeologico i tecnici e le maestranze che vantavano già una lunga esperienza maturata in altri cantieri archeologici della Margiana dove avevano contratto alcune abitudini sbrigative tipiche della vecchia scuola sovietica di frontiera che considerava superflui, ad esempio, i trenches stratigrafici, l'esplorazione degli immondezzai e la raccolta di ceramiche ritenute "ripetitive". Persino le tombe degli infanti che si trovavano alla radice dei muri venivano rapidamente rimosse all'atto del rinvenimento per non intralciare il ritmo degli scavi. Agli inizi i miei collaboratori non riuscivano a capire perché volessi stravolgere queste vecchie abitudini "ritardando" il loro lavoro arrivando al punto di far scomparire i resti di alcuni infanti prima che li vedessi per non esser interrotti. Per questo decisi di tenere agli studenti turkmeni e ai capi degli operai alcune lezioni teorico-pratiche spiegando loro l'importanza di ogni minima traccia rinvenuta nel corso di uno scavo archeologico e il valore insostituibile della contestualità dei reperti, l'unica in grado di offrire la parola ad oggetti altrimenti muti. Alla fine i risultati non si fecero attendere e lo stesso Ministero della Cultura me ne fu grato conferendomi il titolo di Honor Professor alla State Academy che, personalmente, considero un importante riconoscimento del lavoro svolto a favore delle nuove generazioni di archeologi e di tecnici turkmeni. Desidero qui ribadire che quanto portato a termine dalla nostra missione è stato possibile solo grazie ad uno spirito di squadra che ha animato tutti: dallo specialista, al tecnico, all'operaio, al direttore della missione. Tutti si sono adoperati per un comune obiettivo: raccogliere più elementi possibili per documentare l'insediamento di AK9. Un ruolo da semplici "portatori d'acqua".

D'altronde, a nostro parere, oggi le ricerche archeologiche in Margiana necessitano solo di questo tipo di lavoro: scavare e documentare per capire. Solo alla fine, quando gli elementi in nostro possesso saranno più abbondanti e pi documentati, si potranno avanzare nuove teorie e formulare nuove ipotesi. Lo ha raccomandato di recente anche un grande archeologo orientalista, un maestro e un amico, Pierre Amiet, ricordando le parole di un noto storico francese, Marc Bloch: "Capire! Non emettere sentenze ... Noi non capiremo mai troppo".

(Ibid., p. 15-19)

 

Fonte: Rossi Osmida, G.: Adji Kui Oasis.Vol.I: La Cittadella delle Statuette. Venice: Il Punto Edizioni 2007.