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Considerazioni Finali

Dopo aver passato in rassegna le statuette rinvenute nel complesso di Adji Kui, cercheremo ora di comprendere come e in quale misura fossero collegate alla vita degli abitanti e, sensu lato, alla cultura maturata lungo la Via delle Oasi.

Cronologicamente i più antichi reperti (gruppo 1) si riferiscono ad un tipo che continua la serie delle "dee a gambe distese" molto diffusa nel Calcolitico del Tedjen ma che in questo contesto rappresenta solo un orante raffigurato nella classica posa che ci è stata tramandata dall'iconografia contemporanea del IV periodo elamita (2700-2300), profondamente influenzato dalla cultura mesopotamica.
Ritratto di defunto nella posizione "orante". Argilla dipinta, necropoli di Shahdad, T.141, 2500-2300 (Museo Nazionale di Teheran, inv. 8682).
Ritratto di defunto nella posizione "orante". Argilla dipinta, necropoli di Shahdad, T.141, 2500-2300 (Museo Nazionale di Teheran, inv. 8682).
Poiché questa statuetta e il frammento ehe la accompagna sono stati rinvenuti nella cittadella di AK1 nel cosiddetto "quartiere amministrativo" (dove sono state rinvenute delle bullae e numerose cretulae), si può solo affermare che tra i notabili di AK1 si manifestavano espressioni religiose e culturali legate alla tradizione mesopotamica. Il fatto poi che noi stessi abbiamo rinvenuto nella necropoli di Gonur (T.n.560) una statuetta femminile molto simile, conferma solo che la cultura mesopotamica era diffusa in Margiana

e, di conseguenza, anche lungo la Via delle Oasi, dal momento che, nell'ambito di questa tradizione, si collocavano solo delle figure di oranti sia nei templi che nelle sepolture, mentre sono totalmente sconosciute immagini di divinità (cfr. P.AMIET: 2006). Alla luce delle risultanze archeologiche in nostro possesso possiamo solo chiederci se la statuetta in questione rappresenti un "accompagnatore" benefico generico o se, come nella contemporanea Shahdad (2400-1900 a.C.), ci si trovi di fronte ad un ritratto del defunto.

Verso il 2300, nel confinante Iran si costituì l'impero di Agadé creato da Sargon d'Akkad. Come ricorda Pierre Amiet, in quest'epoca si assiste alla diffusione di un rinnovato culto delle Grandi Dee, forse da mettere in relazione con i progetti imperialistici accadici che si fanno sentire fino in Margiana. Un'influenza che durò per circa cinque secoli, ossia dal 2300 al 1800 a.C., quindi ben oltre la fme di Agadé (CFR: AMIET, ib.). Fin dagli inizi è chiaro che sia intervenuto un cambiamento in ambito culturale e religioso; le statuine "a gambe distese" scompaiono e, come "accompagnatori" dei defunti o come spiriti protettori, appaiono delle statuine a pilastro (gruppo n. 2), abbastanza rozze, che si continueranno fino alla fine degli insediamenti margiani riflettendo una tradizione popolana. Sempre durante questo periodo risulteranno dominanti, sia nel Tedjen che in Margiana, le statuette piatte (gruppo n. 3), una stilizzazione artistica del tutto originale che, a quanto consta, tipicizza il solo Turkmenistan. In ambito margiano, inizialmente, si tratta di figurine ancora grezze (tipo A), spesso istoriate con motivi vegetali incisi che le associano al culto della fertilità.

Nel corso dell'ultima missione (autunno 2006) sono stati rinvenuti numerosi frammenti appartenenti a questo tipo di figurine all'interno di alcuni focolari attribuiti alla fase 1 localizzati nelle stanze n.202 e n.203. Un frammento proveniente dalla stanza n.203 propone la parte addominale fittamente punteggiata con la punta inferiore ripiegata in avanti, a memoria delle "dee a gambe distese". Sia per i contesti in cui sono state ritrovate, sia per la forma, penso che questo gruppo si sia manifestato in AK9 già agli inizi dell'età del Bronzo e che continui nel Bronzo medio abbracciando un arco di tempo compreso tra il 2700 e il 2100 a.C..

A partire dal secolo successivo queste figurine raggiungono una forma matura, piatta ed elegante (tipo B). Sul capo appare una tiara ornata con una "V" (la chevron) che le farebbero accostare alle grandi dee di Susa, anche queste provviste di una tiara adorna di corna taurine.

Secondo l'interpretazione proposta da M.Gimbutas (1990: 325 c pass.) quella "V" che spicca sulla tiara sarebbe invece l'emblema della Dea Uccello e deriverebbe come sintesi dal triangolo pubico; il fatto poi che la dea sia anche sprovvista di bocca, rafforzerebbe la sua qualifica di dea ctonia, quindi sarebbe una Dea della Morte: uno dei molteplici aspetti della Grande Dea, Madre del Tutto.
Il re accadico Naram-Sin nudo, con le scarpe e la cintura (Stele di Naram-Sin, 2250 a.C. circa), e le statuette maschili stanti trovate in AK9, stanza n.25.
Il re accadico Naram-Sin nudo, con le scarpe e la cintura (Stele di Naram-Sin, 2250 a.C. circa), e le statuette maschili stanti trovate in AK9, stanza n.25.

Va ricordato ehe queste figurine furono prodotte in serie e che venivano esposte soprattutto nelle case o, durante particolari cerimonie, sospese al collo dei devoti mentre solo in tre casi certi su circa 4000 tombe esplorate (tra Gonur e Adji Kui) abbiamo rinvenuto questo tipo di statuette in contesti tombali. Questo quindi non conforterebbe la teoria di M. Gimbutas, come non sembra che la "V", la chevron, sia da accostare al pube di una Dea Uccello, ma piuttosto alle corna taurine e-o alla sua alternativa simbolica che è il crescente lunare.

Quasi contemporaneamente alla comparsa delle statuette piatte del tipo 3B apparvero anche alcune figurine maschili lanceolate (tipo 3D) che rappresentano sicuramente un eroe, un genio o un dio minore, visto che sono evidenti dei simboli astrali incisi sulle spalle e che queste statuette presentano due fori per la sospensione. Questi esemplari vennero spesso rinvenuti in associazione con figurine femminili del tipo 3B in depositi di AK9 datati 2200-1940 a.C. : quindi per tutto l'arco di tempo in cui si fece sentire l'influenza culturale accadica.

Come osserva Pierre Amiet, l'iconografia offerta dai sigilli cilindrici di questo periodo, propone spesso delle divinità minori maschili, legate alla guerra o alla caccia, che agiscono all'interno di un pantheon "governato" dalla Grande Dea. Quindi, nelle nostre statuette, sono perfettamente coerenti l'assenza di un diadema, la schematizzazione a punta di lancia, le dimensioni ridotte rispetto alla media delle divinità femminili come pure appare curioso (ma forse non casuale) il fatto che ripropongano quasi pedissequamente la parte inferiore delle statuine femminili, quasi si volesse ricordare che questi personaggi divini dipendevano dalle dee.Quasi contemporaneamente alle statuine del gruppo 3B apparvero immagini di divinità femminili più complete e di dimensioni maggiori (tipo C) che si svincolano dai canoni delle dee piatte e che denunciano un processo di awicinamento dei canoni famminili a quelli maschili che maturerà verso il 2100 con la comparsa del gruppo E e delle stupende figurine stanti a gambe distinte (tipo F). Ora il dio sopravvanza la Grande Dea sia in statura, sia aggiungendo le gambe al primitivo impianto schematico (la "lancia"), sia ancora esibendo la propria nudità "divina", ulteriormente sottolineata dalfuso delle scarpe.
Particolari delle statuette maschili stanti.
Particolari delle statuette maschili stanti.
Due elementi simbolici che conferiscono grande dignità e che ritroviamo anche in ambito elamita. Sembrerebbe infatti di poter collegare questo "cambio della guardia" con il cambiamento ideologico avvenuto sotto il regno di Naram-Sin (2254-2218 a.C.) che tendeva a trasferire nella persona del re un carisma senza precedenti accostandolo alla divinità tanto che, davanti al nome del re, fece porre talvolta l'attributo divino, ilum. Al proposito non sembra casuale che nella celebre "Stele si Naram-Sin" (ca 2250 a.C.), considerata una tappa significativa nel processo di deificazione del sovrano accadico, questi venga raffigurato nudo, con le scarpe e con la cintura. Oramai il Dio del Cielo, con i suoi simboli astrali, si è imposto sulla Dea della Terra. Ora i ruoli si sono capovolti.

La fase finale di questo percorso, ehe si concluderà con la crisi dell'intero sistema verificatasi nel XVII secolo a.C. con l'avanzata dei nomadi (o con il ritorno al nomadismo, come suggerisce Amiet), registrerà l'arrivo dall'Est di un altro tipo di figurine, questa volta in pietra: sono le celebri statuette composite di tradizione battriana. Come abbiamo visto, conosciamo ben poco al proposito disponendo solo di tre rinvenimenti contestuali: uno a Quetta, uno a Gonur (tomba n.1799) e uno ad Adji Kui (tomba n.018). È quindi difficile interpretarle come immagini di una Grande Dea, sia perché appaiono in un'epoca in cui la supremazia maschile si è già affermata in campo religioso, sia perché non evidenziano dei simboli ultraterreni, sia ancora perché sono state finora ritrovate in un contesto funerario, cosa che lascerebbe supporre un loro ruolo o come "accompagnatrici" del defunto o come ritratti dello stesso. Ipotesi quest'ultima che troverebbe conferma tanto dalla varietà dell'abbigliamento (dell'acconciatura e dei copricapi in particolare) quando dal fatto che, essendo eseguite separatamente, le teste potevano esser modellate a piacere e secondo commissione. Per questo si preferisce oggi definirle "Signore" o "Principesse" della Battriana, in attesa di ulteriori scoperte contestuali.

In Margiana l'epopea della Grande Dea si esaurì quindi con la fine del III millennio a.C. quando si affermarono gli stati "maschili" che riverberano nel mito di Etana. Le Grandi Dee diverranno dapprima fautrici degli dei maschili, poi compagne, infine soggette a quel Dio del Cielo che governerà un nuovo pantheon delegando alla dea funzioni specifiche ma sempre subordinate.

(ibid., p. 186-191)

Fonte: Rossi Osmida G.: Adji Kui Oasis. Vol.I: La Cittadella delle Statuette. Venice: Il Punto Edizioni 2007.